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Il lavoro alla prova degli stereotipi generazionali

 

I lavoratori più anziani sono “resistenti al cambiamento” e i più giovani “non hanno voglia di fare niente”. Queste due frasi, per quanto rappresentino un condensato di stereotipi, sono spesso utilizzate anche nel mondo del lavoro. Questo perché il pregiudizio sulla base dell’appartenenza a una determinata generazione è ancora molto radicato in questo ambito della nostra vita, come in diversi altri d’altronde. 

 

Stereotipo #1: i baby boomer non abbracciano le nuove tecnologie 

Per quanto riguarda i baby boomer l’etichetta che li accompagna maggiormente è quella di “resistenti alle nuove tecnologie”. Un recente studio di Frontiers in Aging Neuroscience ha rilevato che la produttività e le prestazioni cognitive dei lavoratori più anziani sono più costanti rispetto a quelle dei loro colleghi più giovani. La ricerca rivela che i lavoratori più anziani (soprattutto quelli dai 55 anni in su) che non possiedono competenze “moderne” “possono apprendere competenze high-tech se viene data loro l’opportunità e l’incentivo per farlo” e conclude che “è un vero errore presupporre che ‘anziano’ e ‘tecnologico’ siano opposti”. L’ultimo rapporto sulle competenze di Visier rivela che i baby boomer e la GenX cercano attivamente modi per acquisire nuove competenze e la metà di loro si sente frustrato dall’assenza di occasioni di crescita sul luogo di lavoro. All’opposto la GenZ è vittima di un altrettanto pericoloso stereotipo che li considera sempre e comunque “maghi della tecnologia”. Sebbene una persona di questa generazione possa avere familiarità con la tecnologia, supporre che la ami o la utilizzi bene solo per età anagrafica si tradurrà in fallimenti ed errori. 

 

Stereotipo #2: la Gen Z e i Millennials sono pigri e non si preoccupano del lavoro

Una credenza popolare è che le due generazioni più giovani non abbiano particolare interesse nel loro lavoro e lo mettano in coda a tutti gli altri aspetti della loro vita. In realtà, una ricerca condotta da Deloitte nel 2023 ha rivelato che entrambi i gruppi considerano il proprio lavoro vitale per la propria identità: il 62% dei Millennial e il 49% degli appartenenti alla GenZ lo considerano più importante dell’esercizio fisico, della musica o degli hobby, secondo solo alla famiglia e agli amici. La verità è che le generazioni più giovani danno priorità alla flessibilità e preferiscono lavorare per organizzazioni con valori in linea con i propri.

 

Dallo stereotipo alla discriminazione

Purtroppo questi stereotipi spesso si traducono in un atteggiamento discriminatorio da parte di chi deve assumere. Un recente sondaggio condotto da ResumeBuilder.com ha rivelato che quasi un terzo dei responsabili delle assunzioni intervistati ha ammesso di evitare di assumere persone della GenZ a causa dello scetticismo sulle loro capacità professionali e interpersonali e sulla loro fidelizzazione. Il problema riguarda anche i lavoratori più anziani. Secondo un recente rapporto di Aarp, circa due terzi dei lavoratori di età superiore ai 50 anni ritengono che i più anziani subiscano discriminazioni sul posto di lavoro e di questi il 90% ritiene che la discriminazione basata sull’età nei confronti dei lavoratori anziani sia comune sul posto di lavoro. Inoltre uno su sei tra coloro che attualmente lavorano o cercano lavoro (14%) riferisce di non essere stato assunto per un lavoro per il quale ha fatto domanda negli ultimi due anni a causa della sua età. Queste discriminazioni sono anche controproducenti per le aziende: secondo l’Ocse, una forza lavoro multigenerazionale apporta numerosi vantaggi aziendali: tra questi figurano una maggiore produttività, una più forte riserva di talenti, una maggiore diversità di competenze e prospettive, una migliore conservazione dell’esperienza e del know-how, una maggiore resilienza e un migliore accesso a team con qualifiche multiple.

 

Più simili che diversi

Alla base di tutti gli stereotipi elencati c’è il presupposto che generazioni diverse abbiano atteggiamenti diversi nei confronti del lavoro. In realtà, diverse ricerche suggeriscono che ci sono più somiglianze che differenze tra gruppi di età diversa rispetto al loro approccio al lavoro. Una recente analisi di McKinsey & Company – che ha confrontato i comportamenti sul lavoro di GenZs, Millennials più giovani e più anziani, GenXs e baby boomer più giovani – ha concluso ad esempio che le ragioni principali di chi vuole lasciare il proprio lavoro sono le stesse per tutte le fasce d’età: compenso inadeguato, mancanza di sviluppo e avanzamento di carriera e leadership poco attenta. Anche le ragioni principali addotte dai lavoratori per accettare un nuovo lavoro sono coerenti tra tutte le fasce d’età: compenso (citato dal 46%), progressione di carriera (36%) e lavoro significativo (35%), seguiti dalla flessibilità del posto di lavoro (34%). Le ragioni per restare in un determinato posto di lavoro, invece, variano molto di più in base all’età. Contrariamente agli stereotipi generazionali, i GenZs attribuiscono la minima importanza al compenso come motivo per restare mettendo in cima la flessibilità e la progressione di carriera, mentre i dipendenti più anziani (GenX e baby boomer più giovani) lo mettono al primo posto seguito dallo svolgere un lavoro significativo. Per loro la progressione di carriera, invece, è di minima importanza. Questi risultati suggeriscono che un approccio più individualizzato e basato sui dati permetterà ai datori di lavoro di valorizzare i propri dipendenti e portare beneficio alle aziende. 

 

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