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Il lavoro da remoto è qui per restare

 

Il lavoro da remoto o comunque in forma ibrida (con la richiesta di presentarsi in ufficio solo alcuni giorni a settimana) ormai è un trend consolidato ed è destinato a diventare una consuetudine nel mondo del lavoro. A dirlo è Nick Bloom, professore di Economia alla Stanford University e uno degli studiosi più autorevoli al mondo delle pratiche di gestione del posto di lavoro. Intervistato dalla Cnbc sul tema, Bloom ha sottolineato come molte organizzazioni, a distanza di più di quattro anni dallo scoppio della pandemia da Covid-19, continuino a consentire ai propri dipendenti di lavorare da remoto o in forma ibrida. Secondo Bloom, da qui a cinque anni, questo trend è destinato a crescere ulteriormente. Lo studioso è infatti convinto che le aziende che nell’ultimo periodo hanno imposto il ritorno in ufficio ai propri dipendenti rappresentano – e sempre di più rappresenteranno – delle eccezioni.

Da trend a pratica

Prima del 2020 il numero di giorni retribuiti lavorati da remoto si aggirava attorno al 10%. Per ovvi motivi, nel corso della pandemia questa percentuale era salita al 60%. Dopo la fine dell’emergenza sanitaria, a partire dall’inizio del 2023 questo valore è rimasto stabile al 25%, indicando come molte aziende abbiano considerato positiva l’esperienza di lavoro da remoto o comunque in forma ibrida e abbiano deciso di renderla una pratica aziendale. Negli Usa, dei lavori che possono essere svolti da casa – come ad esempio molti lavori nel settore finanziario e tecnologico – circa il 41% prevede modalità ibride di presenza e il 20% si svolge completamente da remoto.

Strategia win win

Il motivo principale per cui questa tendenza si è consolidata, secondo l’economista, deriva dal fatto che il lavoro da remoto è altamente redditizio per le aziende, soprattutto perché riduce il tasso di turnover. I dipendenti, questo ormai è appurato, tendono a conservare maggiormente un posto di lavoro che gli consente di lavorare da remoto e le aziende non devono spendere in assunzioni, reclutamento e formazione se perdono personale meno frequentemente. Inoltre, le aziende che offrono posti di lavoro con l’opzione da remoto hanno la possibilità di accaparrarsi i migliori candidati. Diverse ricerche, tra l’altro, hanno concluso che lavorare da remoto aumenta la produttività dei lavoratori: secondo Global Workplace Analytics, il 77% dei professionisti dichiara di essere più produttivo lavorando da remoto che in un ufficio tradizionale. Più nello specifico, l’80% della Gen Z e della Gen X e il 76% dei Millennials dichiarano di essere più produttivi lavorando da casa che in ufficio.

In cerca di giustificazioni

Eppure non tutte le aziende hanno questa consapevolezza. Secondo i dati di WFH (Work From Home) Research relativi al mercato statunitense a maggio 2024, circa il 38% dei dipendenti che possono svolgere il proprio lavoro da casa sono tenuti a lavorare a tempo pieno in ufficio. Secondo molte aziende il lavoro da remoto riduce la capacità di osservare e monitorare i dipendenti e conduce a un ridotto tutoraggio tra pari. Uno studio di gennaio dell’Università di Pittsburgh ha rilevato che le grandi aziende statunitensi che hanno imposto il rientro in ufficio lo hanno fatto perché avevano bisogno di un “capro espiatorio”, il lavoro da remoto in questo caso, per spiegare le scarse prestazioni dell’organizzazione. Secondo i risultati dell’analisi, però, con il rientro in ufficio le aziende non solo non sono riuscite a migliorare le prestazioni finanziarie, ma hanno subito anche il contraccolpo per il calo di soddisfazione lavorativa dei dipendenti. A riprova di quanto già detto, una ricerca del professor Bloom, recentemente pubblicata su Nature, ha dimostrato che il lavoro ibrido migliora la fidelizzazione dei lavoratori senza danneggiare le prestazioni aziendali in alcun modo.

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