Cathy La Torre: “Diversity&Inclusion? C’è ancora tanto da fare”
Attivista LGBTQI+ e avvocata. Metà italiana e metà americana. Si divide tra Bologna, Roma e Milano. Una missione, professionale e personale: difendere chi, in questa nostra società, viene visto come “diverso”. Cathy La Torre è tutto questo. Mercoledì scorso ha partecipato al secondo appuntamento di WoW, Women on Wednesday (rivedi qui l’evento), il nostro format dedicato ai temi di genere (e non solo). L’abbiamo intervistata.
Cathy, sei impegnata con forza nel tutelare la comunità LGBTQIA+ dalle discriminazioni, e nell’assisterla sotto il profilo legale.
E’ un tema che finalmente, almeno in questi ultimi anni, si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica. Questa crescente attenzione mediatica va di pari passo con un’evoluzione positiva della situazione?
Non si può certamente negare che dei passi avanti sono stati compiuti in questi anni dal punto di vista giuridico e della consapevolezza della società nel suo insieme, ma è anche vero che in Italia eravamo particolarmente indietro. Per cui dal mio punto di vista, e parlo anche come avvocata che riceve quasi tutti i giorni segnalazioni di attacchi, insulti o discriminazioni di stampo omofobo, c’è ancora tantissimo da fare, basti pensare che il matrimonio egualitario che la comunità LGBTQ chiedeva da tempo è stata tradotto dal parlamento italiano in un’unione di serie B.
In particolare, nel mondo del lavoro, come stanno andando le cose? A che tipo di evoluzione stai assistendo, almeno dal tuo punto di vista?
È solo dal 2003 che nell’UE è illegale discriminare le persone sul luogo di lavoro sulla base del loro orientamento sessuale. La normativa impone a tutti i paesi dell’UE di tutelare giuridicamente i cittadini contro forme di discriminazione in relazione a una candidatura per un posto di lavoro, una promozione professionale o attività di formazione, oppure in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e licenziamento. Sappiamo però che ci vuole tempo perché alcune novità contenute in determinate leggi vengano dai cittadini per entrare nella coscienza comune. Da quel che vedo, sono soprattutto le aziende più grandi e strutturate ad essere più sensibili e attente a questi temi tanto da prevedere esplicitamente protocolli, formazione per i dipendenti e progetti che favoriscono l’inclusione e la non discriminazione. Non a caso, mi capita sempre più spesso di tenere lezioni di Diversity e Inclusion proprio in queste realtà.
Hai fondato uno studio legale che si chiama “Wildside Human First”: una denominazione molto particolare. Che cosa significa?
Quando ho fondato lo studio con le mie socie, avevamo ben chiara l’idea di creare qualcosa di diverso rispetto ad uno studio legale classico. Per noi la cura del cliente viene prima del profitto e l’avvocatura è una missione e non solo un lavoro. Sto così realizzando uno dei sogni che avevo sin da bambina, lottare contro l’ingiustizia per un mondo migliore.
Diversity & Inclusion sono due termini che, da un po’ di tempo a questa parte, pronunciamo con sempre maggiore frequenza. Quando senti pronunciare queste parole a cosa pensi? Non si corre il rischio che concetti così importanti diventino delle buzzword, svuotandoli di significato?
È vero che molte campagne pubblicitarie attuate dai brand, in particolar modo durante il mese del Pride, non rispecchiano le reali politiche aziendali, ma si dimostrano solamente gesti privi di valenza etica e finalizzati all’apparente aumento della brand awareness. I loghi, i prodotti best sellers si tingono di color arcobaleno e vengono lanciate delle limited edition per l’occasione: azioni fini a loro stesse, la cui conseguenza è il puro arricchimento dell’azienda. Ma voglio vedere il lato positivo: l’esistenza stessa del rainbow washing dimostra come nella nostra società supportare (sebbene solo nominalmente) le persone queer sia oggi economicamente vantaggioso. Possiamo dire che il rainbow washing sia figlio di tempi in cui le persone queer sono meno demonizzate dalla società, e quindi è un indicatore di una società più accogliente e non posso che esserne felice. Per venire alla domanda, non è sempre semplice capire se e quanto un’azienda che supporta la comunità queer sia effettivamente sincera. Uno dei modi per capire se un’azienda o una realtà sia effettivamente attenta alle tematiche queer è vedere se parla di suddette tematiche anche fuori dal mese del Pride. Tuttavia, nemmeno questa è una strategia che dà certezze. In generale la cosa migliore sarebbe acquistare da realtà LGBTQ che spesso faticano a restare a galla.
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