Dimmi dove sei nato e ti dirò chi diventerai!
L’ascensore sociale italiano, che da decenni appariva immobile, sembra dare segni di vita. Lo ha certificato uno studio condotto da un trio di economisti italiani pubblicato sull’American Economic Journal: si tratta di Paolo Acciari, dirigente del Ministero dell’Economia, Alberto Polo della Bank of England e Gianluca Violante, professore di economia all’Università di Princeton. La novità della ricerca, rispetto alle precedenti che avevano descritto il nostro Paese troppo spesso fanalino di coda per la mobilità sociale dei giovani, riguarda l’unità di misura presa in considerazione: le dichiarazioni dei redditi dei genitori (Il Foglio).
La grande asimmetria Confrontando i dati, lo studio ha dimostrato che una mobilità intergenerazionale verso l’alto esiste anche in Italia, ma in maniera molto frammentata. Ci sono alcune zone, in particolare nel Nord Est, dove le possibilità di guadagnare più dei propri genitori aumentano in modo significativo, superando addirittura i Paesi notoriamente più virtuosi come gli scandinavi o determinate città americane. Nella top ten delle province che offrono maggiori opportunità si trovano Bolzano, Monza-Brianza e Bergamo (Linkiesta).
La grande asimmetria La questione si complica per il Sud Italia, dove la mobilità tra le generazioni è del tutto paralizzata, e la famiglia in cui si nasce resta un elemento determinante per realizzarsi nella società. Chi nasce da genitori benestanti ha il 33% di possibilità in più di mantenere lo status sociale di provenienza, mentre un figlio nato da genitori con le fasce di reddito più basse ha solo l’11% di probabilità di arrivare da adulto nella fascia più alta. Altro fattore determinante è il genere. Dai dati dello studio emerge infatti come la mobilità verso l’alto riguardi molto di più i figli maschi. Un risultato dovuto “alla scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro”, ha spiegato Violante. La speranza è che il Pnrr italiano, con il suo fabbisogno occupazionale stimato compreso tra i 3,5 e i 3,9 milioni di lavoratori entro il 2025, possa colmare questo odioso divario (Il Sole 24 Ore).
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